lunedì 19 marzo 2012

Curiosità in un pronto soccorso

17/5/2007


Il pronto soccorso di un ospedale è un porto di mare, anzi spesso è mare aperto, esposto a venti procellosi e a devastanti maree.
In un piccolo nosocomio quale era quello di Cava de’ Tirreni, dove ho cominciato la mia carriera di medico, i casi gravi, i cosiddetti casatielli, era opportuno dirottarli altrove, nell’interesse dei pazienti, ma soprattutto dei colleghi reperibili, che potevano tranquillamente continuare a fare studio privato o a dormire a secondo dell’ora del ricovero. Si trattava unicamente di valutare la gravità del paziente e di convincere lui ed i parenti, sempre agitatissimi, che si faceva tutto nel suo esclusivo interesse, che lo avremmo volentieri curato, ma altrove sarebbe stato assistito meglio. Fratture scomposte, addomi acuti e crisi steno cardiche venivano inviate a Salerno, i casi ancora più gravi verso il Cardarelli. I giorni festivi si indirizzavano altrove anche le crisi asmatiche e tutta la patologia chirurgica che andava trattata con urgenza.
Quando io ero di guardia i colleghi reperibili delle varie branche potevano stare tranquilli.
Molto frequenti erano i casi di baldi giovanotti che rimanevano con l’uccello incastrato nella cerniera dei jeans e dopo alcuni disperati tentativi correvano impauriti in ospedale, spesso accompagnati dalla fidanzata in ansia quanto e più di loro. Bastava un colpo netto nel verso contrario all’apertura ed il batacchio era di nuovo libero, con meraviglia dell’interessato e focosi complimenti da parte delle accompagnatrici per lo scampato pericolo.
Nella precedente puntata abbiamo raccontato dell’incontro scontro con un delinquente, che aveva da poco, in un alterco, sferrato uno schiaffo ad una vicina di casa lasciandole sul viso la traccia rossastra delle cinque dita.
La sventurata giunse esanime al ospedale e pochi minuti dopo, mentre la stavo soccorrendo, giunse il malvivente che cominciò a minacciare: “Guai a te se fai il referto, ti sparo in bocca”
Uno sguardo alle dimensioni corporee dell’individuo, alquanto modeste, mi diede coraggio e lo invitai ad uscire altrimenti avrei chiamato la polizia. Addirittura lo prendevo in giro. “ Ma se io non apro la bocca come fai?”.
Non l’avessi mai detto lo scellerato, mentre parlavo telefonicamente col commissariato, cominciò a sferrare calci agli infermieri ed a bestemmiare con colorità vivacità.
Trascorsi alcuni minuti giunge un agente, poco meno che sessantenne, il quale riconosce il furfante e prendendolo per un braccio cerca di portarlo fuori, ma scivola malamente e cadendo perde l’unico dente sul quale poggiava la dentiera.
Il malvivente continuava a sbraitare per cui, aiutato da Michele, un infermiere robusto ed ubbidiente, lo immobilizzai e, sotto la minaccia di un bisturi, lo costrinsi a più miti consigli. Chiamai di nuovo al commissariato chiedendo un intervento più efficace e spiegando che l’agente da loro inviato era stato costretto al ricovero.
“ Che dite facciamo subito intervenire delle pantere da Salerno”. 
Dieci minuti ed in contemporanea polizia e carabinieri sono sul luogo del misfatto, impacchettano il delinquente e lo conducono in gattabuia.
Gli  infermieri ed i portantini in coro mi assalgono: “Dottore voi siete un pazzo, Totonno è da poco uscito dopo aver scontato venti anni per un duplice omicidio”.
Processo per direttissima, nessuno dei testimoni si presenta ad eccezione del sottoscritto, minacciato senza esito da un fratello dell’imputato, conferma della deposizione e quattro anni di pena, interamente scontati.
Il Mattino dedicò nove colonne all’episodio e i colleghi fecero una gigantografia che fu appesa alle pareti del pronto soccorso e per anni, quando sorgeva una controversia con i parenti degli ammalati, pane quotidiano in un pronto soccorso di frontiera privo di drappello, io invitavo prima di continuare la questione a leggere l’articolo e poi eventualmente decidere di continuare: un prodigioso antidoto per qualsiasi diatriba.

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