sabato 17 marzo 2012

Il mitico sovrintendente

17/12/2006

Illustre studioso, mitico sovrintendente, instancabile organizzatore di mostre leggendarie, Raffaello Causa ha rappresentato per Napoli e per le arti figurative meridionali un prodigioso propellente in grado di portare in giro per il mondo il lato positivo della città.
La sovrintendenza alle Belle arti di Capodimonte negli ultimi cinquanta anni ha costituito un’isola felice, abitata da insoliti titani.
Prima Bruno Molajoli gestì i difficili anni del dopo guerra, salvando il patrimonio artistico dalla furia dei bombardamenti, trasferendolo al sicuro e, cessate le ostilità, riaprendo a tempo di record tutte le gallerie, dalla Nazionale ai Gerolamini, dalla Floridiana a San Martino; quando le truppe di occupazione alleate… strappavano senza ritegno le sete dei saloni di Palazzo Reale e regalavano antiche poltrone alle sciagurate signorine dei vicoli off limit dei quartieri spagnoli, in cambio del soddisfacimento delle loro turpi pulsioni sessuali. Poi venne il ciclone Raffaello, l’ideatore di mostre che hanno sbalordito il mondo, da Civiltà del Settecento a La pittura da Caravaggio a Luca Giordano, tappe incalzanti di un trionfo clamoroso dell’arte napoletana. E scomparso prematuramente Causa, il testimone è stato degnamente ereditato da Nicola Spinosa, che ha continuato, incrementandola, l’opera meritoria del predecessore.
Nell’Annuario dei personaggi, pubblicato nel 1959 dalla Deperro, Causa, nonostante la giovane età, trentacinque anni, già figura e viene descritto come un uomo massiccio come una quercia, un metro e ottanta per centotrenta chili, ma di vulnerabile sensibilità, appassionato coltivatore di rose e ciclamini sulla splendida terrazza del suo grande e severo appartamento nel museo di San Martino. Barbetta risorgimentale, chioma folta, d’un nero che sta già subendo travolgenti assalti.
Nato a Pozzuoli e presto trasferitosi ad Ottaviano. Appassionato di cinematografo e con la televisione in gran disdegno per i programmi televisivi idioti ed immaturi (già a quei tempi!).
E ad un programma televisivo risale l’unico mio contatto, anche se virtuale, col Causa, avendo maturato la mia passione ed assidua frequentazione per il mondo dell’arte solo in anni successivi alla sua scomparsa. Ricordo nitidamente una trasmissione sull’aborto; saranno stati gli anni Sessanta, quando l’argomento era tabù anche solo a parlarne e Causa si incazzò terribilmente verso un partecipante che difendeva la sacralità della vita. Rimasi stupito da un  personaggio privo di ipocrisia, che si inalberava in difesa delle sue idee e distruggeva senza pietà l’interlocutore.
Nella vecchia biografia viene descritto come scrupoloso investigatore del prossimo, alla ricerca di una sua eventuale capacità iettatoria. Convinto che alcuni individui accumulino serbatoi di malevolenza sradicabile si cautela con il più grasso e meno letterario degli scongiuri, al quale, precorrendo le pubbliche ostentazioni di Leone e Berlusconi, si abbandona spesso e volentieri.
Questo lato ombroso della  sua personalità si accoppierà costantemente ad un carattere bizzoso e straripante, in grado di intimorire qualsiasi contraddittore, ridotto al rispettoso silenzio o alla balbuzie. Unica eccezione Ferdinando Bologna, con il quale, in accesa quanto rispettosa competizione, percorse le tappe del cursus honorum. Furono per trenta e più anni i numi tutelari degli studi sulle arti figurative meridionali, felice connubio tra amministrazione dello Stato ed università, a tal punto da essere definiti, giustamente, i due Dioscuri.
Conseguita la libera docenza non volle intraprendere la carriera universitaria e si dedicò a coltivare le sue passioni: la musica, avendo tra i favoriti Brahms, Mahler, Strass e Wagner e la lettura degli autori americani fatti conoscere da Vittorini e dei romanzieri francesi, molti goduti in lingua originale.
Cominciò poi una peregrinazione tra i musei europei, che divennero al suo occhio competente tante mostre da riordinare. Ed ai piccoli musei rimase legato. Curò infatti il riordino del Correale di Sorrento, uno scrigno prezioso poco conosciuto, allora come oggi, che egli trasformò in uno dei più affascinanti musei privati d’Europa, circondato da un lussureggiante giardino di arance e limoni dal profumo devastante,  con sale di esposizione affollate da spettacolari nature morte e dove il tempo è scandito, ogni quarto d’ora, da antichi quanto precisi orologi ottocenteschi.
Vi fu poi l’incontro con il gran maestro, il Longhi, che da Firenze pontificava sull’arte europea ed aveva aperto quella leggendaria palestra intellettuale costituita dalla rivista Paragone, della cui redazione Causa farà parte assieme alla crema della intellighenzia italiana: Arcangeli, Bologna, Briganti, Gregori, Toesca, Volpe e Zeri.
Nel cenacolo, dominato dalla figura incontrastata del sovrano, si parlava un linguaggio forbito, una vera e propria lingua con desinenze particolari. A parte il lessico del Longhi, inimitabile, si oscillava dal periodare del Briganti, che in età matura sarà la stella di un grande quotidiano italiano, alla costruzione della frase sontuosa e neo proustiana di Arcangeli.
Per definire la personalità di uno studioso è opportuno esaminare i suoi scritti, tappe fondamentali per la conoscenza della pittura e della scultura  napoletana, che reclamano invano a gran voce una ristampa per poter essere goduti dalle giovani  generazioni di studiosi.
Nel 1945, a ventidue anni, Causa discute, alla Normale di Pisa, una tesi su Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro, un artista al quale rimarrà legato ed al quale dedicherà il suo primo articolo, pubblicato nel 1946 sulla rivista Sagittario e con il cui pseudonimo firmerà alcuni suoi dipinti giovanili e gli articoli di cultura pubblicati per anni sul Roma.
A partire dal primo scritto si può osservare una scrupolosa cura del dettato, una maniacale attenzione ad una prosa ricercata, ricca di aggettivi, compiaciuta del riferimento colto e della frase ai limiti della lirica. Nel tempo questa prosa spumeggiante diverrà pura poesia ed alcuni suoi fondamentali contributi si leggono ripetutamente anche per il sottile piacere di ascoltare un canto melodioso ed  un inno alla bellezza della pittura.
A voler ricordare solo le opere principali segnaliamo nel 1950, in collaborazione con Bologna, il catalogo della mostra sulle sculture lignee della Campania, nel 1954 un saggio sulla Madonna nella pittura del 600’ a Napoli, nel 1956 la rivisitazione di Pitloo e della scuola di Posillipo, nel 1957 una fondamentale rassegna della pittura napoletana dal XV al XIX secolo, nel 1962 un’acuta investigazione sulle tarsie cinquecentesche nella Certosa di San Martino, nel 1970 un riordino del patrimonio artistico del Pio Monte della Misericordia ed infine, nel 1972, il suo testamento intellettuale: due corposi capitoli nella monumentale Storia di Napoli, la pittura del 600’ a Napoli dal naturalismo al barocco e la natura morta a Napoli nel sei e nel settecento. Due bussole fondamentali per districarsi in un labirinto di nomi e di scuole da leggersi con la deferenza di una bibbia.
Seguirà l’epoca delle mostre, nelle quali Causa accoppierà alla veste di abile organizzatore, quella di colto e raffinato estensore del catalogo ed il burbero sovrintendente raggiungerà l’apice della fama.
Nel 1984 si apprestava a scrivere l’introduzione al ponderoso repertorio delle opere del Banco di Napoli, al cui riordino aveva atteso amorevolmente per lungo tempo. Sarebbe certamente stata, come ogni suo scritto, una miniera di originali giudizi, intessuta di frasi forbite e di impareggiabile dottrina, segno ineludibile di un amore infinito verso l’arte e la cultura non solo napoletane, quando, improvviso, un morbo implacabile lo strappò all’amore dei suoi cari, orbando il mondo degli studiosi della possibilità di confrontarsi con un simile contraddittore.
E’ morto l’ultimo viceré di Napoli titolarono i quotidiani e colsero nel segno, perché con lui scomparve il più alacre ambasciatore della cultura napoletana.

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