venerdì 30 marzo 2012

L’omelia domenicale: abolirla o secolarizzarla?

17/1/2010

Il ruolo del prete nel XXI secolo

Ha destato impressione l’affermazione, pochi giorni fa, da parte di Mariano Crociata, segretario generale della Cei, riguardante le omelie domenicali, definite senza mezzi termini “una poltiglia insulsa, quasi una pietanza immangiabile”.
Ci si è accorti, anche nelle alte sfere vaticane, che i sermoni attuali, blanditi ai fedeli, sono inutili e noiosi, perché il pubblico, soprattutto i giovani, si attendono più che una pedissequa testimonianza di fede, colma di paroloni vacui quanto astrusi, da pedante politicante, un programma da attuare giorno dopo giorno, per divenire utili protagonisti in una società che ha bisogno dell’azione più che della contemplazione.
La Chiesa è da anni in crisi: mancano le vocazioni e mancano soprattutto le motivazioni, l’azione pastorale è impacciata da infiniti divieti, che appaiono fuori luogo: da quello senza senso del profilattico alla strenua difesa di modelli comportamentali in antitesi con gli orientamenti di una società moderna, nella quale, ad esempio, la donna riveste un ruolo non più subalterno, ma paritario nei riguardi dell’uomo.
Anche la funzione del prete è in gran parte da ridisegnare, come pure coraggiosamente il  problema del celibato dovrà essere affrontato, perché la fuga dalla tonaca è in gran parte legato allo smarrimento morale del religioso, impossibilitato a formarsi una famiglia, utile rimedio sia alla tristezza della solitudine che alla concupiscenza della carne.
I predicatori diventano credibili quando affrontano i reali problemi del prossimo e sono portatori di esperienze vissute, non precari affabulatori di antiche storie raccontate spesso con inutile erudizione e con sfoggio di una terminologia più da azzeccagarbugli che da ministro di fede. Devono sforzarsi di trasformarsi in moderni consulenti sociali e spirituali, pastori impegnati e non burocrati di un superato catechismo, senza timore di adoperare un video proiettore o una chitarra per calamitare con le immagini o con i suoni l’attenzione. 
Le parole devono diventare vive e palpitanti, come un fiume in piena, per accattivare un uditorio disincantato ed afflitto dalle mille avversità della vita quotidiana, altrimenti, se non si riesce ad attirare l’attenzione dei fedeli, meglio tacere, per rispetto di tanti credenti sempre più a disagio in una chiesa dove le meravigliose cose scritte nel Vangelo continuano ad essere soltanto raccontate senza essere tradotte in fatti reali. 

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