giovedì 29 marzo 2012

Nicola Malinconico, pittore settecentesco

5/9/2009


Nei nostri precedenti articoli, ai quali rinviamo, ci siamo interessati prima all’attività di pittore di natura morta di Nicola Malinconico e poi abbiamo discusso dei suoi dipinti eseguiti entro la fine del secolo XVII, ma egli prosegue per quasi un trentennio a lavorare con lena e se nell’ultimo decennio il suo stile ricorda la maniera chiara delle pale del Giordano di Santo Spirito di Palazzo o del Rosariello, dopo il 1700 l’artista si esprime con uno stile più freddo, in assonanza ai modi  di Solimena e del De Matteis di quegli anni.
In questa nostra carrellata faremo tesoro del lavoro di Umberto Fiore, che ha pubblicato numerosi documenti di pagamento, in grado di scandire con più precisione il percorso del Malinconico.
Cominciamo con il correggere la datazione di una delle tele più famose del pittore:il Buon samaritano(fig. 1) del museo di Prato, che Scavizzi erroneamente colloca al Prado nel capitolo sul giordanismo incluso nella monumentale monografia su Luca Giordano; mentre la data di esecuzione, supposta al 1706, va spostata al 1727, in sintonia con un documento che la pone come un’opera realizzata poco prima della morte.
Tra il 1701 ed il 1703 Malinconico lavora in Santa Maria la Nova, prima completando la parte decorativa lungo la navata, con una lunga teoria di sante(fig. 2), intrise di una luminosità neolanfranchiana, per continuare poi con le due tele del transetto: Natività ed Adorazione dei magi, datate 1703, nelle quali la cromia è più povera e le forme più solenni fanno già presagire una svolta solimenesca.

Il pittore acquisisce, come ci riferisce il De Dominici, il titolo di conte e ne abbiamo conferma in una iscrizione sotto una tela, datata 1706, conservata nella Certosa di Capri, dove, nel museo Dieffenbach è presente un suo dipinto: i Due santi(fig. 3).

Del 1709 sono le tele della chiesa di San Benedetto a Chiaia, mentre l’anno successivo realizza degli affreschi(fig. 4) nell’Annunziata di Marcianise.

Nel 1716 lavora ai Santi Apostoli dove decora i pennacchi della cappella di S. Andrea Avellino ed un ciclo di affreschi(fig. 5) in quella di San Nicola, la cui esecuzione “potrebbe essere definita come l’opera di un osservante allievo del Solimena”(Scavizzi).

Nel 1724 lavora nella Certosa di San Martino eseguendo una vasta tela nel refettorio, raffigurante le Nozze di Cana(fig. 6), che fu molto apprezzata dai monaci ed uno spettacolare Passaggio del Mar Rosso(fig. 7).


Nel 1725 tornerà a lavorare alla decorazione della sagrestia dei Ss. Apostoli, dopo che il Solimena aveva emesso il suo acuto nella controfacciata del Gesù Nuovo con la Cacciata di Eliodoro dal tempio.
Tra le ultimissime opere documentate con certezza va ricordata l’esecuzione della decorazione della Cattedrale di Gallipoli del 1727, della quale mostriamo un inedito bozzetto(fig. 8) in collezione Mario Speranza a Napoli.

Pur non potendoli datare con certezza, in attesa di un riscontro documentario, vogliamo rammentare altri lavori del Malinconico collocabili cronologicamente nel primo decennio del ‘700: una pala d’altare raffigurante la Vergine bambina con S. Anna e San Gioacchino(fig. 9) nella chiesa di San Giuseppe a Chiaia, le due tele della chiesa della Redenzione dei Captivi, che rappresentano San Francesco di Paola(fig. 10) e S. Antonio (fig. 11) e la Madonna del Rosario(fig. 12) di San Gregorio Armeno.




Probabilmente eseguiti nel secondo decennio gli affreschi con Storie di San Nicola(0013) in S. Teresa agli studi e le Storie di S. Antonio(0014) in Monteoliveto, oltre alla luminosa S. Rosalia(0015) della Cattedrale di Palermo.



Ricordiamo inoltre la sensuale S. Agata(0016) conservata nella pinacoteca di Bari ed infine tutti inediti: un’Adorazione del vitello d’oro(0017) transitata sul mercato fiorentino, un Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia(0018) esitato in un’asta Sotheby’s a Firenze ed un’Apparizione di Cristo alle pie donne(0019) aggiudicato presso Pandolfini.



Gli ultimi documenti di pagamento, datati anche dopo la morte dell’artista ci confermano, in linea con quanto riferito dal De Dominici e ripreso dal Giannone, delle difficoltà economiche della sua famiglia, che fu costretta a chiedere un prestito di cento ducati nel 1728 e da essi apprendiamo il suo ultimo domicilio “nella corsea de scarpari”.

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