lunedì 19 marzo 2012

Un fontana illustre e dimenticata

25/9/2007


Il popolino napoletano l’ha sempre chiamata affettuosamente la Fontana delle zizze , per l’acqua che nei secoli sgorgava copiosa dai capezzoli delle graziose mammelle della splendida sirena alata che domina il monumento. 
Rintracciare oggi questa fontana, sita in una stradina limitrofa all’università, è impresa ardua, perchè gli stessi abitanti della zona non ne conoscono esattamente l’ubicazione, dal titolare del bar al parcheggiatore abusivo, dalla vasciaiola al garzone della spesa, tutti vagamente ne hanno sentito parlare, ma poi indirizzano erroneamente verso la vicina fontana sita in piazzetta Grande archivio. Il motivo dell’equivoco è banale, tutti quando riferiscono di averne sentito parlare si confondono con le zizze, ma quelle vere, non quelle eterne ed impassibili dell’omonima fontana, la cui memoria storica è andata smarrita.
La costruzione della fontana si perde nella notte dei tempi, infatti il Celano la colloca nel 1139, mentre la Platea delle acque del 1498 ci informa che da tempo in quel luogo sorgeva una fontanina alimentata dalle acque del pozzo di san Marcellino, ma è con don Pedro da Toledo, il benemerito viceré di Napoli, che il monumento prende la forma attuale, probabilmente ad opera dell’architetto Giovanni Merliano. Al centro della composizione è rappresentato il Vesuvio eruttante alla cui furia devastatrice si oppone il latte mellifluo secreto dalle generose mammelle della sirena, come si evinceva chiaramente da una scritta, citata dalle fonti e da tempo scomparsa: Deum Vesuvii siren incendia mulcet, a significare che la bellezza di Napoli, ben rappresentata dalla sinuosa Partenope è l’unica forza che può opporsi alle fiamme iraconde dello scontroso vulcano. Una idrica e pettoruta grazia ammaliatrice potente almeno quanto il carisma di san Gennaro. 
La sirena, archetipo eterno della bellezza femminile, creatura fascinosa dalla potente seduzione, evoca con il suo prorompente seno nudo una pacata sensazione di tranquillità e ci trascina indietro nel tempo a temi ed immagini del mondo pagano, un imprinting genetico che ha marcato indelebilmente il Dna dei napoletani.

Foto di Dante Caporali

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