mercoledì 28 marzo 2012

Viviano Codazzi ed Ascanio Luciani due abili quadraturisti

1/7/2009


Altro artista strettamente legato al Gargiulo è Viviano Codazzi, bergamasco, presente a Napoli dal 1634 al 1647, fraterno amico e collaboratore dello Spadaro, con il quale esegue numerosi lavori a due pennelli. La loro collaborazione è ricordata dal De Dominici che erroneamente lo indicava come Codegora: ”Moltissimi sono in Napoli i dipinti con architetture dell’eccellente Viviano, e con figure di Micco Spadaro…vissero questi due virtuosi insieme con tanto amore che la morte solo poté separarli”.
L’Ortolani, dispregiandone l’opera, definì il Codazzi un “ mediocrissimo pratico”, ma in seguito la critica, prima attraverso le ricerche di Longhi e della Brunetti, e poi con la recente esaustiva monografia del Marshall, ha rivalutato appieno il suo lavoro ed ha riconosciuto l’importanza delle sue architetture luminose e ben disegnate e dotate di effetti di profondità spaziale e volumetria ben dosate.
La sua conoscenza dei monumenti romani fa presupporre una lunga permanenza a Roma, prima della sua venuta a Napoli; un periodo di studio, come era abitudine all’epoca di tutti i pittori, probabilmente nell’ambiente di Agostino Tassi e della sua bottega. Giunto a Napoli nel 1634, dopo poco si sposa con una napoletana ed entra in contatto con gli artisti della cerchia falconiana e ciò è testimoniato dalla sua partecipazione, nel 1639, col Gargiulo, il Falcone, il De Lione, De Simone e Cesare Fracanzano alla stesura delle grandi tele di soggetto romano destinate al palazzo del Buen Retiro di Madrid. Entra poi in contatto col suo conterraneo Cosimo Fanzago, che lo proteggerà e lo farà lavorare alle grandi prospettive per la chiesa e la sacrestia nella Certosa di San Martino, che in quel periodo è una vera e propria palestra per gli artisti napoletani.
Oltre ad una proficua collaborazione col Gargiulo egli nella Certosa lavora ad un originale Colonnato con delle scale che farà da sfondo alle figure di Massimo Stanzione in un Cristo che esce dalla casa di Pilato nella sacrestia della chiesa.
Ricordata dalle fonti, anche se messa in dubbio dalla critica, una sua collaborazione al grande affresco della Probatica piscina eseguita dal Lanfranco ai Ss. Apostoli.
Al periodo della rivolta di Masaniello nel 1647, il Codazzi lasciò Napoli per Roma, ove cominciò a collaborare col Cerquozzi.
Capolavoro di questo sodalizio è, del 1648, la Rivolta di Masaniello, commissionata dal cardinale Spada, una delle più lucide interpretazioni della celebre sollevazione popolare.
Egli, pur risiedendo a Roma, non dovette rompere del tutto i contatti con Napoli, come testimonia il suo rientro documentato nella capitale vicereale nel 1653 ed il ritrovamento di quadri datati oltre il 1647, in cui è evidente la collaborazione col Gargiulo rimasto a Napoli, come ad esempio nella splendida tela Davanti ad una locanda(fig. 1) del museo di Baltimora.
Tra i numerosi dipinti, certamente eseguiti durante il soggiorno partenopeo, nei quali predomina sulle figure la componente architettonica ricordiamo: l’Adorazione dei pastori(fig. 2) conservata a Houston, nella The Sarah Campbell Blaffer Foundation, il Carcere della Vicaria(fig. 3) a Napoli, in collezione privata, la Festa nella villa di Poggio reale(fig. 4) del Musée des Beaux Arts di Besancon, il Giardino delle Esperidi(fig. 5) già in collezione Buonoconto ed infine la spettacolare Veduta prospettica del Colosseo(fig. 6) dei depositi del Prado in prestito al Ministero degli esteri a Madrid.





A Roma collaborò inoltre saltuariamente  anche con Jan Miel, Giacinto Brandi e con Filippo Lauri. Il riconoscere la mano del figurinista permette alla critica un preciso inquadramento cronologico del dipinto in esame.
Meno noto del padre Niccolò Codazzi(Napoli 1642 – Genova 1693) fu oltre che raffinato quadraturista anche pittore di vedute. Tra la sua produzione segnaliamo due quadri conservati nel Castello di Praga: un Vestibolo di palazzo abbandonato e Rovine di architettura(fig. 7 - 8)


A Napoli seguiranno le orme del Codazzi Francesco Magliulo ed Ascanio Luciano, quest’ultimo ritenuto un suo seguace dall’Ortolani e dal De Rinaldis e a sua volta precursore di Leonardo Coccorante e di Gaetano Martoriello, i grandi paesaggisti della successiva generazione.
Di Francesco Magliulo conosciamo ben poche notizie. Il D’Addosio reperì nell’Archivio storico del Banco di Napoli una polizza di pagamento del 1666 nella quale si riferiva che il pittore era capitato nelle grinfie di uno di quei mercanti d’arte, che lo faceva lavorare a mesata in casa sua sfruttandolo. Dal documento si evidenzia anche che il Magliulo fosse abile nel dipingere le figure oltre che le prospettive architettoniche. L’Ortolani segnalò un suo dipinto di rovine già in collezione Messinger a Monaco ed oggi ad ubicazione sconosciuta, nel quale l’Ozzola aveva chiaramente identificato la firma dell’autore ed aveva ritenuto il pittore allievo del Ghisolfi a Roma. Ed infine nel 1993 presso Sotheby’s è passata una tela con  Cristo che scaccia i mercanti dal tempio ambientata tra antiche rovine per la quale il Marshall ha suggestivamente proposto il Magliulo come autore.
Ascanio Luciano fu uno specialista nel genere delle rovine monumentali, dipinte in piena luce solare o sotto un bel chiaro di luna, molto richiesto all’epoca dai collezionisti, che utilizzarono questi quadri per decorare le ampie antisale dei loro nobili appartamenti. Vi era anche una certa richiesta da parte degli stranieri, che, in ricordo delle pittoresche ed imponenti rovine da essi ammirate nei dintorni di Napoli, amavano portarsi nei loro tristi e nebbiosi paesi un po’ del nostro sole e il ricordo dei nostri monumenti. 
I dati biografici sono scarni: nato a Napoli nel 1621, nel 1665 risulta iscritto alla Congregazione dei pittori dei Ss. Anna e Luca, vive a lungo fino al 1706, avendo modo così di trascorrere tutta la stagione del barocco napoletano.
Disprezzato dall’Ortolani, che lo definisce mediocre discepolo di Viviano Codazzi, è viceversa trattato con passione dal De Rinaldis che gli dedica un articolo elogiativo nella leggendaria rivista Napoli Nobilissima. La critica moderna gli riconosce, di volta in volta che si scoprono nuove tele spesso firmate, una posizione preminente nel campo dei capricci architettonici ove svolse un ruolo di cerniera tra il Codazzi e il De Nomè  e gli specialisti settecenteschi del genere.
Egli elabora un tipo di composizione in cui gli elementi architettonici, quasi sempre rovine, sono immersi in un paesaggio, spesso marino, dal vasto orizzonte e di buona fattura. Le sue architetture hanno una luce irreale, sfumante in un’atmosfera lirica, con un gusto marcato nel ricalcare la decorazione scultorea, derivante dallo stile fantasioso del De Nomè.
Molto curato è l’aspetto paesaggistico con aperture di rara bellezza, come il maestoso Rovine di un edificio classico presso una costa(fig. 9), oggi presso la Galleria di Palazzo Arnone a Cosenza, eseguito in collaborazione con Luca Giordano, con il quale il Luciano aveva eseguito anche la grande tela di Cristo e l’adultera(fig. 10), che il De Rinaldis descrisse accuratamente nello studio del pittore Bocchetti a Napoli e riteneva, come anche il Prota Giurleo, che fosse dispersa, il quadro viceversa dopo essere stato esposto alla celebre mostra sulla pittura italiana di Palazzo Pitti nel 1922 fu venduto dall’antiquario Ciardiello ed oggi si trova in collezione privata milanese.


Altre opere famose a lui attribuite sono la Veduta della Vicaria(fig. 11) del museo di San Martino, eseguita in una accezione molto vicina ai modi pittorici del Coppola e da considerare più prudentemente di ignoto ed il San Pietro che risana lo storpio(fig. 12) della collezione Molinari Pradelli, in cui le allungate figurine derivano direttamente dal Gargiulo. 


Segnaliamo poi una Crocifissione di San Pietro tra le rovine(fig. 13) dell’arcivescovado di Olomuc e due inediti: un Martirio di San Sebastiano(fig. 14) di collezione privata ed una Strage degli innocenti davanti al porticato di una villa(fig. 15).



Nei depositi del museo di Capodimonte sono conservate tre tele caratteristiche dei suoi modi pittorici: una Veduta di villa sul mare, una Veduta di palazzo su mare(fig. 16) ed una Veduta con ruderi, firmata e ritenuta da Marshall opera tarda successiva al 1680.

Abbiamo poi un’importante dipinto conservato nella pinacoteca dell’Accademia di Belle arti di Napoli un Cristo che caccia i mercanti dal tempio(fig. 17) , una probabile collaborazione tra Luciani e Codazzi per la diversa tipologia delle architetture e che Raffaello Causa riteneva un “collettivo” a tre pennelli: architetture del Codazzi, sfondo paesaggistico del Gargiulo e figurine del Compagno.

Su uno straordinario clavicembalo di scuola napoletana, identificato da Ugo Casiglia, abbiamo di recente pubblicato delle decorazioni di alto livello attribuibili ad Ascanio Luciani(fig. - 18 – 19) raffiguranti vedute marine di fantasia sulla cassa esterna, avvolte in un’atmosfera onirica nella quale, mentre grossi galeoni stazionano imponenti all’orizzonte e numerosi personaggi si affollano a riva impegnati negli umili lavori quotidiani. (Cfr. Un clavicembalo di scuola napoletana su internet).


Un’opera tarda del Luciano, che ci permette di riconoscere il suo stile nella maturità, è l’originale dipinto Scene di melodramma entro ruderi antichi, nel quale è presente forse anche l’autoritratto del pittore ed oltre all’influenza di Giacomo Del Po si evidenzia, come ha sottolineato il Lattuada, un’allusione al mondo teatrale, rendendo plausibile un’esperienza nel campo della scenografia e stabilendo un ponte tra l’esperienza della pittura e quella del teatro.

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